Urbanistica
LA NUOVA CITTA'
di Vanni Bulgarelli e Catia Mazzeri
Nell’area modenese, caratterizzata oggi come altre, non solo in Italia, dalla “dispersione urbana”, non esiste più un dentro e un fuori della città. Esistono invece molteplici luoghi, che compongono un mosaico di aree rurali urbanizzate, di centri urbani densi, dotati di “naturalità artificiali”, con diversa valenza ambientale. Questa città-territorio, secondo l’efficace espressione usata da Campos Venuti, richiede una ricostruzione storica di “area vasta” della politica urbanistica.
La città oltre le mura
Le spinte demografiche ed economiche e la situazione igienico sanitaria della città orientano le scelte urbanistiche di inizio secolo. Nel 1901 il numero di abitanti è di 63.626, di cui 26.847 entro le mura, con una densità di 3,46 per ettaro. L’area urbanizzata copre poco più dell’1% del territorio comunale. Il Piano Regolatore Edilizio del 1893 riprende gli obiettivi del PEG di dieci anni prima. Prosegue l’atterramento delle mura, iniziato nel 1882, “opera pubblica” ritenuta essenziale per l’ampliamento della città, che con gli attesi sventramenti del centro storico rappresenta il progresso e un pragmatica azione per contenere la grave, endemica disoccupazione.
L’urbanistica dei primi decenni
Il piano approvato dal Consiglio Comunale nel 1906 prevede nuove lottizzazioni, perseguendo la discontinuità nella collocazione degli edifici, alternando “villini”, case e spazi verdi, occhieggiando i modelli residenziali della “città giardino”. Nel 1913 si decide di destinare a verde l’area a ridosso delle mura a Est e a Sud, già area della “passeggiata delle mura” e futuro primo parco urbano della città. Con il “Piano di risanamento interno della città”, approvato nel maggio del 1916, espressione del “piccone demolitore”, si accelerano i lavori di diradamento. Nel 1923 s’imposta un nuovo piano volto a dare più organica risposta ai problemi rimasti insoluti. Obiezioni ministeriali e incertezze politiche impediscono la sua approvazione definitiva. L’elaborazione di un nuovo disegno organico, deliberata dal Podestà nel settembre 1937, è affidata due anni dopo all’ingegnere Alberto Mario Pucci. I documenti, completati nel 1942, non saranno mai approvati, in quanto da adeguare alla legge urbanistica nazionale, nel frattempo emanata.
“Città sanitaria” e territorio industriale
La questione igienica e la salubrità delle attività manifatturiere in città sono i principali problemi dell’ecosistema urbano e orientano le politiche urbanistiche. La Relazione Boccolari indica chiaramente, tra le prime cause dell’elevata mortalità e in particolare di quella infantile, le degradate condizioni abitative in diverse zone della città storica. La relazione evidenzia inoltre l’eccessiva densità entro le mura. Gli strumenti urbanistici si dimostrano inadeguati.
Le attività industriali impattano su aria e acqua: a Nord le concerie, la Manifattura dei Tabacchi, la fonderia delle officine meccaniche Rizzi, il “Proiettificio”, la “fabbrica del gas” impiantata nel 1848; a Sud, in via C. Sigonio, c’è dal 1915 la centrale per la produzione di energia termoelettrica delle AEM. Nel 1924, l’insediamento delle Acciaierie Ferriere Orsi, poi della OCIFIAT nel 1929, delle Fonderie Corni, delle Fonderie e Acciaierie Riunite, dei Frigoriferi Generali, si aggiungono alle manifatture e alle officine esistenti tra la ferrovia, via P. Ferrari (ex Via Camurri) e Via C. Menotti, stringendo le case e le povere residenze esistenti, in un contesto sempre più degradato. Da rilevare, in zona Santa Caterina, località significativamente nota come “le Masse”, la discarica della città, coi relativi impianti di selezione e smaltimento dei rifiuti. Nel 1903 viene deciso lo spostamento del mercato bestiame dal Foro Boario a via Monte Kosica, dove rimane fino al 1951. Restano attive all’ippodromo le stalle per i numerosi cavalli. Nel corso degli anni Trenta si espande un sistema industriale diffuso e polisettoriale nei centri di Carpi, Mirandola, Sassuolo, Formigine, Castelfranco, Vignola, delineando la struttura portante che consolida il sistema policentrico modenese.
La ricostruzione e “l’urbanistica riformista”
Il Piano di Ricostruzione per la città di Modena, predisposto nel 1947 dallo stesso Pucci, assessore all’urbanistica, tiene conto della necessità di raccordare le azioni urgenti con la soluzione dei problemi accumulati. Nel 1946 i cittadini modenesi sono105.437, 28.909 abitano in centro storico, 31.980 nel forese e i restanti nel suburbio. Negli anni immediatamente successivi, dopo una prima stasi, la popolazione riprende a crescere e raggiunge le 111.364 unità nel 1951. Nel 1953, su impulso del Sindaco Alfeo Corassori e dopo un lungo confronto politico avviato nel 1949, iniziano i lavori per il primo Villaggio Artigiano nel quartiere della Madonnina. Viene costruito il nuovo grande mercato bestiame, che sarà tra i più importanti d’Europa e inizia la elaborazione del nuovo PRG, poi approvato nel 1958. E’ un piano fortemente espansivo, che rischia di non reggere a fronte dell’impetuosa pressione del “boom economico” e di tradire le sue stesse premesse.
Nel 1962, al momento di elaborare il Piano per l’Edilizia Economica e Popolare (PEEP), Modena si trova senza PRG vigente, ma una rinnovata politica riformista, non solo a sinistra, rafforza una nuova idea di pianificazione e di urbanistica. L’incarico della redazione del PEEP era stato affidato agli architetti Luigi Airaldi e Giuseppe Campos Venuti, supportati da Osvaldo Piacentini fondatore della Cooperativa Architetti ed Ingegneri di Reggio Emilia. Lo stesso gruppo elabora in breve tempo nel 1964 il nuovo PRG. Contestualmente è avviata l’elaborazione del Piano Regolatore Intercomunale, che coinvolge Bastiglia, Bomporto, Campogalliano, Castelfranco, Castelnuovo, Formigine, Modena, Nonantola, Ravarino, S.Cesario e Spilamberto. L’Amministrazione Provinciale aveva promosso nel 1962 la costituzione dei “Consorzi intercomunali per l’uso condiviso del territorio”, la programmazione degli interventi e la gestione di servizi.
Il 22 giugno del 1964 un’affollatissima seduta pubblica del Consiglio Comunale è organizzata presso la Sala della Cultura, che non riesce a contenere tutti gli intervenuti. Nel successivo mese di Luglio il PEEP è presentato in Piazza Grande, gremita di cittadini. Gli obiettivi del piano erano stati tra l’altro elaborati in forza di un questionario rivolto a 10.000 tra impiegati e operai, per conoscere meglio le loro esigenze. Con il PEEP s’intendeva passare dal 10% di edilizia pubblica al 40%, pari al 50% del fabbisogno previsto di nuovi insediamenti, pianificati con riferimento all' "area vasta” del PRI. L’orientamento prevalente della DC modenese, guidata da Ermanno Gorrieri, favorisce un fattivo confronto e un’ampia condivisione delle scelte ed esprimerà in Consiglio Comunale un voto di astensione. I caratteri portanti del nuovo PRG, che doveva inoltre creare le condizioni per realizzare il PEEP, riguardano in primo luogo la regolazione e il contenimento della rendita e una netta torsione sociale. Viene assegnata al verde una significativa funzione sociale e il mantenimento di “corridoi di verde” dovrà funzionare da cerniera con le aree rurali.
L’impatto ambientale del modello di sviluppo urbano e territoriale
La struttura policentrica della provincia, gli insediamenti produttivi, il crescente peso del terziario costituiscono nel loro insieme una miriade di punti generatori di mobilità individuale, sempre meno canalizzabile attraverso il sistema di trasporto collettivo e quindi soddisfatta dalla motorizzazione privata. Altro punto di criticità è l’impermeabilizzazione dei suoli dovuta all’espansione degli insediamenti residenziali e produttivi e alle infrastrutture. La Variante Generale del PRG del 1975 tenta un primo approccio al problema posto dalle contraddizioni dello sviluppo economico e messe in evidenza dalle problematiche ambientali, ormai all’attenzione dell’opinione pubblica. Si punta al rafforzamento quantitativo e qualitativo degli standard di verde e servizi, nel frattempo fissati dalla normativa regionale: dai 24 mq per abitante del 1965 ai 46 mq. Sulla spinta dell’esperienza bolognese e di altre città si concentra l’attenzione al recupero e alla riqualificazione del centro storico.
Il Progetto Ambiente nel PRG del 1989
Nel 1985 l’elaborazione della variante decennale porterà ad un nuovo PRG di “terza generazione", sotto la spinta innovatrice di Pier Camillo Beccaria, assessore all’urbanistica, poi sindaco. Tante le innovazioni culturali, politiche e tecniche introdotte. Un quadro conoscitivo di straordinaria ampiezza, poi organizzato nel SIT (Sistema Informativo Territoriale), tra i primi in Italia. Mentre gran parte dei comuni italiani abbandonano di fatto la politica dei PEEP, Modena la riconferma e sviluppa, anche nella versione relativa alle aree destinate alle attività produttive (PIP). Il piano è articolato in una parte strutturale (Piano Strutturale) e una attuativa (Piano Operativo), anticipando di un decennio le norme regionali. Viene per la prima volta concepito il Progetto Ambiente con lo scopo duplice di: “cercare le rispondenze sul piano urbanistico necessarie allo sviluppo delle politiche di settore in campo ambientale” e di costruire percorsi e strumenti “finalizzati al conseguimento di un Piano Regolatore autenticamente improntato a principi di tutela ambientale preventiva”, esprimendo la domanda ambientale rivolta al PRG.
Le innovazioni introdotte dal Progetto Ambiente riguardano anche gli aspetti paesistici del patrimonio naturale e storico testimoniale. La dimensione storico-ambientale non è affrontata solo in termini applicativi, ma è proposta, anche in questo caso, come prototipo culturale di valenza nazionale, con l’assunzione, nei documenti cartografici e nelle norme del Piano, della Carta Archeologica Comunale, predisposta dal Museo Archeologico ed Etnologico del Comune e dalla Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna.