L'aria
LA QUALITA' DELL'ARIA
di Paolo Mazzali con la collaborazione di Luisa Guerra
Il controllo della qualità dell’aria è una scienza relativamente nuova, che ha iniziato ad avere valenza scientifica solamente negli ultimi decenni, e non disponiamo, per il secolo scorso, di serie di dati di misura di inquinanti aerodispersi tali da potere seguire l’evoluzione puntuale del fenomeno. Le prime misure, incomplete e di scarsa qualità, risalgono agli anni Sessanta e le prime serie articolate per lunghi periodi di tempo partono dalla metà degli anni Settanta. Le considerazioni relative al periodo antecedente alla conoscenza dello stato effettivo della qualità dell’aria saranno dedotte dall’analisi qualitativa integrata fra i determinanti di impatto atmosferico, di cui si ha notizia dell’esistenza, e la stima dei fattori di pressione, teoricamente riconducibili alle sorgenti di contaminazione ambientale.
Il contesto meteoclimatico
L’analisi della qualità dell’aria nella città di Modena non può prescindere da alcune brevi considerazioni sulla specifica condizione meteoclimatica. Sono condizioni tipiche dell’area Padana, caratterizzate da molti degli aspetti del clima continentale: scarsa circolazione, frequente ristagno di aria con presenza di calme anemologiche, frequenti situazioni d’inversione termica, spesso di forte intensità e lunga durata, particolarmente presenti nei periodi invernali, non rare in estate.
Le fonti di inizio secolo
I determinanti di pressione atmosferica all’inizio del secolo erano assai limitati e di scarsa potenzialità. Le principali cause di contaminazione erano gli odori provenienti dagli scarichi civili, da lavorazione e commercio di prodotti alimentari, sia di origine animale che vegetale e dagli innumerevoli immondezzai collocati vicino alle abitazioni. Le polveri erano provocate dalla movimentazione su strade, da lavorazioni edilizie e altre attività artigianali e dalla combustione di legna, carbone e petrolio. I rumori provenivano dalle varie lavorazioni artigianali, fatte in strada e dalla vita della città. L’inquinamento di origine industriale era quasi trascurabile, per l’esiguità numerica di aziende allora insediate. Nel periodo precedente il secondo conflitto mondiale, i combustibili impiegati erano prevalentemente: quelli solidi naturali come legna, torbe, lignite, litantrace, antracite, e quelli solidi artificiali, come carbone di legna o coke; infine, quelli gassosi artificiali come il gas di città.
Gli impianti di generazione calore (stufe, focolai di caldaie e per altre lavorazioni spesso a cielo aperto) erano a tiraggio naturale e non esisteva nessun sistema di controllo del rendimento della combustione. Ciò che veniva percepito dalla popolazione all’inizio del secolo erano soprattutto le esalazioni maleodoranti degli scarichi domestici e degli accumuli di rifiuti, la polverosità e il rumore dovuti alla movimentazione, ai cantieri edili, alle demolizioni e ad alcune attività produttive. I canali raccoglievano gli scarichi delle abitazioni, delle stalle e delle attività produttive, fra le quali le concerie caratterizzate da elevato impatto odorigeno.
Al fine di migliorare la qualità dell’aria per questi impatti e conseguentemente delle condizioni igieniche della città, il Comune di Modena, già dall’inizio del secolo, adottò alcune norme specifiche nell’ambito del Regolamento di Polizia Urbana e del Regolamento d’Igiene del 1903 e dei successivi Regolamenti d’Igiene del 1924 e del 1935, che oltre a riprendere, modificandole leggermente, le disposizioni precedenti, fissava per la prime volta norme tecniche per la dispersione di inquinanti atmosferici di origine industriale.
All’inizio del secolo, il contributo inquinante dell’attività produttiva era determinato da poche unità industriali e da una miriade di piccoli e piccolissimi laboratori artigianali operanti nei settori metalmeccanico, agroalimentare, edilizio, tessile, conciario. La Manifattura dei Tabacchi era dotata di una centrale termica di elevata potenza, ma la ciminiera, tuttora esistente, consentiva una buona diffusione dei fumi emessi. Il gas di città si otteneva in appositi forni riscaldati da carbone o coke. Tutte le fonderie della città erano di seconda fusione. Le emissioni dei forni, sommate a quelle delle altre lavorazioni aziendali (formatura, animisteria, smerigliatura), determinavano un forte impatto nelle abitazioni a ridosso degli insediamenti: polveri finissime rossicce (ossidi di ferro), particelle carboniose, faville accese, odori e tanto rumore.
Traffico e veicoli. Nel 1921, in tutta la provincia di Modena si contavano 1.720 autoveicoli di cui 590 autovetture. Nel 1946 il numero è salito a 5.936 autoveicoli di cui 1.862 autovetture. Anche se venivano utilizzati combustibili estremamente inquinanti (elevati quantitativi di benzene e altri aromatici) e la combustione nei motori non era certo ottimale (gli scarichi contenevano un insieme micidiale di sostanze tossiche), il numero di veicoli circolanti era talmente limitato che l’inquinamento da essi emesso si confondeva con l'inquinamento di fondo esistente.
Il secondo dopoguerra e i nuovi impatti
Gli anni della ripresa economica sono segnati dal forte incremento demografico, dall’espansione urbanistica, dallo sviluppo delle attività produttive, dall’aumento esponenziale del traffico autoveicolare. Si poneva allora particolare attenzione allo sviluppo tecnologico e produttivo necessari al neonato benessere economico ed alla società dei consumi; molto meno alla salute e all’ambiente. Nei primi anni si osserva un graduale passaggio nella produzione di calore dall’uso di combustibili solidi (carboni) a quelli liquidi (olio combustibile e gasolio), poi ai gassosi (gas di città e metano), sia nell’uso domestico che in quello industriale. Questa evoluzione ha determinato un miglioramento della qualità dell’aria.
Esplode il traffico autoveicolare. In qualche decennio, l’inarrestabile e vertiginoso incremento dei veicoli a motore circolanti prende un ritmo incalzante. Nel 1946 erano immatricolati 5.936 veicoli totali tra cui 1.862 autovetture; nel 1951, 11.602 totali con 4.080 autovetture; nel 1961, 86.592 totali con 28.567 autovetture; nel 1971, 17.5875 totali di cui 14.5855 autovetture. Questo incremento esponenziale, continuato fino ai giorni nostri, ha determinato forti impatti ambientali nelle aree urbane ed è causa di diversi danni alla salute della popolazione esposta.
La struttura urbanistica di Modena, come quella di altre città, malgrado i costanti tentativi di adeguamento, non era in grado di metabolizzare il traffico che andava rapidamente aumentando. Negli anni cinquanta non esistevano particolari limitazioni. La circolazione era libera, via Emilia e Piazza Grande comprese. All’inizio degli anni Sessanta i camion transitavano sulle strade che circondano il centro. Gli autotreni che provenivano da Reggio Emilia e diretti a Bologna potevano transitare per viale Tassoni, viale Muratori e viale Trento Trieste. Poi, fino alla realizzazione della tangenziale, percorrevano viale dell’Autodromo, Viale Amendola e Via Cucchiari.
Le nuove attività industriali. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta il settore produttivo industriale ricevette un notevole impulso, sviluppandosi soprattutto nell’area a Nord della città, nelle zone circostanti la ferrovia Milano-Bologna. Soprattutto cresce il settore metalmeccanico: potenziamento della Fiat Trattori, avvio della BenFra, presenza di 14 fonderie di ghisa e di un’acciaieria, produzione automobilistica della Maserati e tantissime varie aziende di piccole e medie dimensioni. Altri insediamenti di notevoli dimensioni e con impatto significativo sull’atmosfera operavano nel settore agroalimentare (vinacce, oleifici), nel ceramico e dei laterizi, nel chimico (concimi), nel trattamento di superfici metalliche (zincaturifici, verniciature). Non cambiava sostanzialmente l’impatto delle fonderie di ghisa di seconda fusione, rispetto all’anteguerra: la tecnologia era la stessa. Notevolmente potenziata invece era l’acciaieria di via Ciro Menotti. L’introduzione della tecnologia ad arco voltaico consentiva incrementi produttivi. L’acciaieria diventò l’industria con maggiore impatto atmosferico della città.
Nel dopoguerra era iniziata, nel territorio dei comuni di Sassuolo, Fiorano, Maranello e Castelvetro, l’espansione della produzione di piastrelle ceramiche. Il Comprensorio delle ceramiche, come venne denominato, fino alla fine degli anni cinquanta a vocazione prevalentemente agricola, si trasformò nel volgere di due decenni, nel maggiore centro di lavorazione dell’argilla e di produzione di materiali ceramici per l’edilizia d’Europa. Nel triennio 1960-62 entrarono in funzione nell’area circa 100 nuovi stabilimenti, raggiungendo le 130 unità locali nel 1964, le 200 nel 1970 e poi 300 nel 1976. Dai 1.000 addetti del 1950 si passò a 32.000. Malgrado il coinvolgimento delle aree circostanti, i danni, in parte gravi ed irreversibili causati dalle emissioni atmosferiche delle aziende ceramiche attribuibili ai composti di piombo, fluoro e polveri, rimasero circoscritti, salvo rari casi, all’area interessata.
La presa di coscienza e l’inversione di tendenza
Nella seconda metà degli anni Sessanta, la classe politica locale e nazionale non poteva più ignorare i frequenti rapporti provenienti dal mondo scientifico e sanitario, che mettevano in evidenza, ampiamente documentati, i danni causati all’ambiente e alla salute. La prima è la legge n. 615 del 1966, detta “antismog”, applicabile dal 1971 con la predisposizione dei previsti decreti attuativi. Decisiva per Modena fu la vicenda della contaminazione da piombo e fluoro nell’area di Sassuolo, che coinvolse nel 1970 lavoratori e abitanti, soprattutto bambini e produsse una inedita collaborazione tra imprese, sindacati ed enti locali, su forte stimolo dell’allora Sindaco di Sassuolo Alcide Vecchi. La Regione, da poco istituita, emanò tempestivamente leggi sulla base dei poteri delegati. La Provincia di Modena istituì, prima in Italia, il Centro Antinquinamento per misurare lo stato dell’ambiente e supportare l’Amministrazione per la predisposizione degli interventi. Con il DPR n. 1.391 del 1970 viene regolamentato l’utilizzo dei combustibili per centrali termiche.
Meno confortante la situazione del traffico veicolare. Nel 1971 erano immatricolati in provincia 175.875 autoveicoli, fra cui 145.855 autovetture, nel 1980 281.215 totali con 239.523 autovetture, nel 1990 448.524 totali con 359.275 autovetture e nel 2000 si raggiungono i 506.029 veicoli con 400.347 autovetture. All’incremento delle auto si aggiungeva il costante aumento della mobilità regionale e nazionale, che raggiungeva o attraversava Modena, divenuta nodo strategico della confluenza delle due autostrade A1 e A22. Dopo la graduale riduzione, dalla metà degli anni Settanta, del contributo delle attività industriali all’inquinamento atmosferico, il traffico autoveicolare rimane il principale responsabile del deterioramento della qualità dell’aria in città, per gli aspetti chimici e fisici (rumore). Negli ultimi anni del secolo è notevolmente migliorata la qualità dei combustibili, i motori sono sempre più sofisticati, meno inquinanti e più silenziosi. Si tratta di interventi importanti, tuttavia non in grado da soli di migliorare significativamente la qualità ambientale, a causa del costante aumento di mezzi in circolazione e di chilometri percorsi.
Al fine di sopperire ai mancati controlli da parte degli organismi di polizia, a Modena si organizzarono campagne gratuite di misura, di intervento e di sensibilizzazione che furono eseguite da AMIU, in accordo con Comuni e Provincia. Le campagne iniziarono nel 1983 con il controllo dell’opacità dei fumi dei veicoli diesel, chi superava il limite veniva invitato a rivolgersi a officine specializzate per gli opportuni interventi e quindi al ricontrollo. Nel corso dell’indagine risultò che circa il 70% dei veicoli controllati non rispettava il limite. Modena è stata una delle prime città in Italia, seconda dopo Milano, ad attivare un sistema di controllo continuo ed automatico della qualità dell’aria ed è tuttora all’avanguardia per questa tipologia di monitoraggio. Nel 1973 il Comune di Modena commissionò ad AMIU l’installazione di quattro postazioni fisse per la rilevazione continua ed automatica del biossido di zolfo nell’ambito cittadino. Attorno all’anno Duemila sono stati attivati sistemi di rilevamento in continuo di inquinanti, dei quali prima si disponeva solo qualche dato di misura estemporanea.