Il paesaggio
Modena, paesaggio del Novecento
Uso e tutela, la nuova utopia
di Anna Marina Foschi
N.B. - le note sono riportate alla fine del testo
Uno sguardo a ritroso (nota 1)
Nel Novecento si consuma, non solo per gli aspetti paesaggistici, la lacerazione del rapporto fra città e campagna. Alla fine del secolo sembra chiudersi la parabola dello “stato sociale”, duramente conquistato ed in nome del quale era stata accettata, ma anche normata, la stessa crescita urbana e industriale e il conseguente mutamento radicale del vecchio rapporto tra paesaggio e cultura, spazio e pietra. Il ruolo della documentazione cartografica e fotografica storica in questo processo va visto, secondo l’insegnamento di Lucio Gambi: “nella analisi incrociata tra strategie delle istituzioni e di governo, necessità dell’amministrazione e ricostruzione delle forme dell’insediamento e del paesaggio” (nota 2). Un rimando continuo fra fonti sociali, economiche e cartografiche reciprocamente influenzate, per dare significato al paesaggio e, insieme, alla storia medesima; metodologia seguita per il lavoro dell’Atlante storico ambientale urbano di Modena e per le ricerche di questo Annale (nota 3). La cartografia storica e, dagli anni Trenta, la fotografia aerea, lette a ritroso offrono il confronto sintetico e complessivo e, soprattutto, la percezione immediata dei quadri ambientali e dei loro mutamenti. Nuovi campi emergenti, anche se evocati almeno dagli anni ’80 (nota 4), legano poi il paesaggio alla questione ambientale, diventando, il primo, aspetto tangibile e memoria storica della seconda.
L’evoluzione del concetto di paesaggio nel Novecento in Italia e in Emilia Romagna
Nel 1900 esce il volume di Alessandro Cassarini sui castelli (nota 5). Si tratta dell’esito di un lavoro che comprendeva la prima campagna fotografica realizzata in Italia, allo scopo di sollecitare l’attenzione verso elementi architettonici, particolarmente inseriti nel contesto del paesaggio. Lo strumento allora innovativo, la fotografia, rafforza il concetto di punto di vista, pan-orama. Fin dal 1891 erano nati i primi dieci Uffici regionali per la conservazione dei monumenti, fra cui quello di Bologna. L’impostazione italiana della tutela si basa fin dall’inizio sulla considerazione dei beni culturali e del paesaggio come patrimonio di interesse pubblico. La prima legge organica dello stato italiano in materia, la n. 364 del 20 giugno 1909, poi la n. 688 del 23 giugno 1912, ne proclama l’inalienabilità. Con Benedetto Croce si ha, nel decennio successivo, la prima definizione di paesaggio come espressione di identità nazionale. Resta analoga la motivazione anche nel fondamentale art. 9 della Costituzione (nota 6).
La prima legge di esplicita tutela del paesaggio è la n.1497 del 1939, Norme sulla protezione delle bellezze naturali, quasi contemporanea alla legge urbanistica del 1942. Derivando da una concezione formale dell'oggetto paesaggistico, la legge guarda ai singoli beni o a bellezze d'insieme, meritori di tutela, in quanto rappresentativi di una idea di paesaggio legata essenzialmente al suo valore estetico (nota 7). Ben più esteso è il concetto sotteso dal dettato costituzionale, ripreso poi dalla legge 431/1985 “Galasso”, quindi dal Testo Unico del 1999. Nel secondo dopoguerra il paesaggio agrario ancora rispecchia il rapporto di interdipendenza fra forma e funzione: il podere e la casa rurale sono ingranaggi di una macchina produttiva, legata ai tipi di economia, ai caratteri morfologici, alle condizioni sociali e culturali. Lucio Gambi sviluppa con La casa rurale nella Romagna, le basi di una classificazione tipologica persistente nel tempo per le case rurali. Gli studi di Gambi hanno inciso sull’invenzione delle unità di paesaggio, quale originale quanto problematico contributo, innovazione assoluta, al Piano Territoriale Paesistico, che in seguito al dettato della ”legge Galasso” viene redatto dalla Regione Emilia-Romagna.
Dalla tutela alla pianificazione e ritorno
Le leggi di tutela erano partite dall’individuazione di “bellezze naturali” considerate eccezioni rispetto alla complessità del paesaggio. Il concetto di “bene culturale”, come oggetto di tutela, fu introdotto dalla Commissione Franceschini nel 1964 e, all’inizio degli anni Settanta, venne ripreso con il decentramento regionale, per esaltare il valore collettivo delle radici profonde delle culture locali. Con un progetto organico la Regione Emilia-Romagna, partiva dalle radici culturali per indirizzare il governo del territorio verso una modernità, che non sacrificasse le vocazioni e i patrimoni acquisiti nel tempo.
Negli stessi anni, a Reggio Emilia, la Cooperativa Architetti fondata nel 1952 da Osvaldo Piacentini, metteva a punto una metodologia di pianificazione basata sulla lettura oggettiva di ogni porzione di territorio, secondo indicatori morfologici, litologici e vegetazionali da confrontare di volta in volta con la distribuzione insediativa, socioeconomica, infrastrutturale, al fine di verificare le “vocazionalità” intrinseche delle aree da pianificare (nota 8). Ma l’esperienza più significativa, che precorse il governo regionale portando Bologna ad esempio in Europa, fu una nuova politica per i centri storici (nota 9).
Fino alla “legge Galasso”, la tutela del paesaggio avveniva con specifici vincoli su aree di particolare interesse, mentre la legge urbanistica del 1942, impostata su “tutela e uso” non aveva capacità vincolistica. Le categorie segnalate dalla legge 1497 del 1939 di tutela dei beni ambientali e paesaggistici, non avevano carattere sistematico e, soprattutto, non erano inserite nei pur previsti piani paesistici. L’Emilia-Romagna realizzò per prima questo strumento, forte delle elaborazioni precedenti e soprattutto di quelle compiute dall’IBC, per gli insediamenti storici, le aree archeologiche, il territorio rurale e naturale, le colonie e il litorale.
Interpretazione delle strutture paesistiche nel Modenese
La Provincia di Modena promosse, nei primi anni Settanta, una ricognizione sull’architettura rurale della montagna (nota 10). Fu l’occasione per mettere a punto un progetto di lettura del paesaggio e dei beni culturali, assemblando i caratteri geografici con quelli storici. Nella semplificazione, resa necessaria dal disegno manuale, emergevano corrispondenze puntuali fra stabilità dei versanti, soleggiamento, composizione litologica e fertilità dei suoli, da un lato; distribuzione dei vari tipi di insediamento in epoche diverse, dall’altro. Se ne possono estrarre alcune osservazioni sintetiche, come la prevalenza degli insediamenti sorti fra medioevo ed età moderna lungo i versanti montani, nei livelli di separazione fra terreni sabbiosi ed argillosi, ove sgorgano le sorgenti e molti fattori hanno contribuito, fino all’inizio del Novecento, a favorire le condizioni abitative: reperibilità di materiali da costruzione (pietra arenaria, leganti ed inerti, legname), suoli più produttivi per le coltivazioni tradizionali. Dall’inizio del Novecento, però, e a seguito della “campagna del grano”, sono state via via coltivate ed abitate aree di minor pregio e stabilità, per giungere all’abbandono nel dopoguerra e infine ad una nuova occupazione, soprattutto stagionale. Sono stati inseriti insediamenti privi di consapevolezza dello spessore storico e naturale del territorio: sia nella sovrapposizione di lottizzazioni ai suoli migliori, di insediamento stratificato e di maggior “rischio archeologico” (nota 11), sia in localizzazioni isolate, a rischio idrogeologico o a forte impatto ambientale. Peraltro, se l’abbandono delle coltivazioni più disagevoli ha favorito in seguito il rimboschimento naturale, la mancanza di puntuale regimazione idraulica e la lavorazione meccanica dei terreni produttivi ha viceversa alimentato vecchie e nuove frane.
Nella pianura modenese, le ultime bonifiche del Novecento completano i lavori iniziati almeno dal XVI secolo (nota 12), ponendo fine al divagare della rete idrografica, ma anche alla portata delle numerose vie d’acqua. Quella intrapresa dal Consorzio Parmigiana Moglia segna anche la fine del Naviglio come canale navigabile, alimentato, dopo l’XI secolo, da tutte le acque sorgive a monte della città e dalle derivazioni da Secchia e Panaro. Il bosco della Saliceta di circa 500 ettari, presso Camposanto, punto notevole dell’antica viabilità fluviale sul Passo Vecchio del Panaro (nota 13), fu dissodato negli anni 1949-50, cancellando l’ultimo residuo dell’antico paesaggio umido di pianura. Sul territorio della bonifica Parmigiana Moglia è stata sperimentata dall’IBC, negli anni Novanta, una metodologia di confronto fra le cartografie storiche ottocentesche e quelle del Novecento (nota 14) utilizzata poi anche per l'Atlante storico ambientale urbano di Modena. Una chiara immagine delle dinamiche prodottesi nella trasformazione del paesaggio, in un brevissimo lasso di tempo, si ha confrontando le foto aeree della RAF del 1944 e quelle dei voli del 1974 (nota 15).
L’esperienza dell’Istituto per i beni culturali e le trasformazioni del paesaggio in Emilia- Romagna nella seconda metà del Novecento
Le elaborazioni contenute nell’Atlante modenese del 2004 trovano riscontro e inquadramento nelle analisi a livello regionale che hanno accompagnato il catalogo della mostra I confini perduti del 1983, l'approdo più significativo dell’inventario dei centri storici elaborato dall’IBC. L’espansione, fra la fine dell’Ottocento ed il 1971, di 31 centri storici campione nella regione, compresi i capoluoghi, evidenzia come la superficie di queste città alla fine del secolo scorso occupasse complessivamente circa 3.500 ettari per una popolazione di 400.000 abitanti, che corrispondeva al 18% di quella regionale, mentre negli anni Settanta la superficie occupa 27.000 ettari e la popolazione passa al 45,5% di quella regionale.
“L’erosione antropica”, calcolata allora nei nove comuni lungo la via Emilia, da Bologna a Modena, fra il 1961 ed il 1981, era di 8.500 ettari, ivi compreso l’insediamento di infrastrutture, come le autostrade, aree intercluse e servizi corrispondente al 78% di diminuzione della superficie agraria, mentre l’aumento totale della popolazione era di 85.000 residenti, pari al 13%. Nell’intera regione le aree urbanizzate nel 1980 raggiungevano circa 80.000 ettari, con un aumento del 77% rispetto a dieci anni prima ed erano quasi quattro volte la superficie dell’immediato dopoguerra. Questo incremento era in gran parte dovuto ai comuni non capoluogo, dove superava nel decennio preso in considerazione il 90% (nota 16).
Nonostante le difficoltà, Il PTPR dell'Emilia-Romagna, costituì un momento alto, nel panorama nazionale, del riconoscimento fisico e concettuale delle peculiarità del paesaggio e della proposizione di strumenti per la sua conservazione, puntualmente commentato da Antonio Cederna con più articoli fra il 1987 ed il 1990 (nota 17). L’IBC ne ospitò l’elaborazione, fornendo contributi metodologici originali e riversandovi il patrimonio di dati raccolti. Appoggiò, in seguito, l’attività conoscitiva delle Province e dei Comuni, mantenendo stretti rapporti con gli organismi della tutela statale ed elaborando con essi strumenti di catalogazione. Pubblicò edizioni cartografiche storiche confrontabili con quelle digitali. Rivolse indagini a tutto campo al patrimonio ospedaliero e a quello castrense, come fattore di riferimento e identità per il paesaggio circostante. Curò il censimento degli alberi monumentali ed impostò progetti europei in campo naturalistico, ecologico e architettonico (nota 18).
NOTE
(1) Il riferimento costante in questo capitolo alla straordinaria figura di storico e intellettuale rappresentata da Lucio Gambi (Ravenna 1920-Firenze 2006) considerato il più importante geografo italiano dell'ultimo secolo, primo presidente nel 1975 dell'Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali dell’Emilia-Romagna. Cfr. La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull'Emilia-Romagna e dintorni, a cura di M.PGuermandi e G.Tonet, Bologna, Bonomia University Press, 2008. Altri due riferimenti fondamentali per le analisi condotte sono la Convenzione Europea del Paesaggio, siglata a Firenze il 20 ottobre del 2000, che va proiettata sui successivi sviluppi del Codice del 2004 e 2008: il Codice dei beni culturali e del paesaggio, decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42 e successive disposizioni integrative e correttive (DL24 marzo 2006, n.157 e DL 26 marzo 2008, n. 63.
(2) G. Mangani, Rintracciare l’invisibile. La lezione di Lucio Gambi nella storia della cartografia italiana contemporanea, “ Quaderni storici “, XLIII, 2008,127.
(3) Per un Atlante storico ambientale urbano, a cura di Catia Mazzeri, Carpi, APM editore, 2004; tenendo conto del riscontro già effettuato della scarsa incidenza delle trasformazioni precedenti sulle macroaree.
(4) A. Sacchetti, Sviluppo e salute, la vera alternativa, Bologna, Patron, 1981.
(5) A. Cassarini, Castelli, Rocche e Rocche storiche delle provincie di Bologna, Forlì, Ravenna, Ferrara, Modena, Reggio, Parma, Piacenza, Firenze, Lunigiana, e Montefeltro con cenni illustrativi, Bologna, Zamorani e Albertazzi, 1900.
(6) E.Salzano, Tutela, valore d’uso e pianificazione, in Regioni e ragioni nel nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio, a cura di V. Cicala e M.P. Guermandi, Atti del convegno del 28 maggio 2004, Bologna, IBC Regione Emilia-Romagna, 2005.
(7) Cfr. P.Colletta, R.Manzo, Pianificazione urbanistica e ambientale:aspetti del quadro normativo, in Città e ambiente fra storia e progetto, a cura di V.Bulgarelli, , Milano, Franco Angeli, 2004, p.69.
(8) Sul contributo di O. Piacentini al PRG di Modena vedi in questo volume V. Bulgarelli, C. Mazzeri La nuova città, cit. e G. Campos Venuti, Ambiente e nuova urbanistica a Modena negli anni Sessanta.
(9) G. Gallerani, C. Tovoli (a cura), In nome del bel paese. Scritti di Antonio Cederna sull’Emilia-Romagna (1954 – 1991), Bologna, IBC, 1998.
(10) Architettura rurale della Montagna modenese, a cura di L.Bertacci, V. Degli Esposti, M.Foschi, S.Venturi,G. Vianello, Amm. Provinciale di Modena, Modena, 1975. A questa prima ricognizione generale sono seguiti i repertori sistematici con carte dell’insediamento storico impostati con il coordinamento di Vito Fumagalli, a cura dell’IBC e della Provincia di Modena: Insediamento storico e beni culturali: Alta Valle del Secchia, Comuni di Frassinoro, Montefiorino, Palagano, Prignano, Modena 1981; Insediamento storico e beni culturali: Alta Valle del Panaro, Comuni di Guiglia, Marano sul Panaro, Montese, Zocca, Modena 1988; Insediamento storico e beni culturali: il Frignano ,2 voll., Comuni di Lama Mocogno, Pavullo nel Frignano, Polinago, Serramazzoni, Fanano, Fiumalbo, Montecreto, Pievepelago, Riolunato, Sestola, Modena 1998.
(11) La Carta Archeologica del Rischio Territoriale (C.A.R.T) è un sistema informativo territoriale realizzato dall’IBC e dalla Soprintendenza Archeologica per l’Emilia Romagna nel 1995 in accordo con l’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, in collaborazione con gli Enti locali. Il Museo Civico Archeologico Etnologico del Comune di Modena, in collaborazione con l’Assessorato all’urbanistica costruì per la prima volta nel 1989 una Carta poi inserita nelle norme di PRG. La CART prende vita da questa prima esperienza.
(12) M.Pellegrini,I Navigli e la rete idrologica negli antichi ducati estensi di Modena e Reggio, a cura G.Adani, G.Badini, W. Baricchi, F. M. Pozzi, A.Spaggiari , Cinisello Balsamo -Milano, A.Pizzi editore, 1990.
(13) Le case, le pietre, le storie. Itinerari nei comuni della provincia di Modena, a cura di L.Longagnani, A. Manicardi, E.Schifani Corfini per la Provincia di Modena, Anzola dell'Emilia, Grafiche Zannini,1993?
(14) L’utilizzo della “ Carta Carandini “ per un approfondimento delle unità di paesaggio attraverso la comparazione con la cartografia attuale è stata sperimentata dall’Istituto Beni Culturali per il bacino della Bonifica Parmigiana Moglia, nella bassa pianura fra il torrente Crostolo e il fiume Secchia. La cosiddetta “ Carta Carandini “, è relativa alla topografia degli Stati Estensi fra il 1821-28, ed è stata realizzata dall' Ufficio Topografico del R. Ducale Corpo del Genio Militare Estense comandato dal maggiore Giuseppe Carandini. Vedi: Topografia degli Stati Estensi 1821-28. Territori di Modena, Reggio, Garfagnana, Lunigiana, Massa e Carrara, a cura di S. Pezzoli e S.Venturi, Bologna, Editrice Compositori, 1999.
(15) I confini perduti. Inventario dei centri storici: terza fase Analisi e Metodo, catalogo della mostra, IBC Dossier, pp. 94-95.
(16) Si citano come esempio due comuni del territorio modenese, fra i più significativi della Regione: Sassuolo è passata dai 100 ettari del 1900 ai 776 del 1979; Carpi da circa 70 a 1257 nello stesso intervallo di tempo.
(17) A.Cederna, Salveremo Appennini, coste e foreste. Così l’Emilia adotta il Piano paesistico, “ La Repubblica” 4 aprile 1987; Prima in ecologia l’Emilia-Romagna, “L’Espresso”, 10 gennaio 1988; Vittoria per l’ambiente. L’Emilia-Romagna vara il suo piano paesistico, “La Repubblica”, 24 giugno 1989.
(18) Cfr A.M.Foschi, Ricerca storico ambientale e pianificazione, ,cit.