I rifiuti
UN LUNGO CAMMINO
Dai rifiuti ai servizi pubblici energetico-ambientali
si Andrea Giuntini
I problemi igienici della città sono stati per secoli tra i suoi più assillanti. Agli inizi del Novecento anche a Modena la raccolta del “rusco” è considerata la “Cenerentola” dei servizi urbani. Infatti, a differenza di quanto si fece per l’energia elettrica e il gas, solo nei primi anni Sessanta la Municipalità decise di renderne pubblica la gestione riscattandola dal privato. Con l’Azienda Municipalizzata per la Nettezza Urbana (AMNU), dal 1971 AMIU (Igiene Urbana), si avvia una fase del tutto nuova di modernizzazione dei servizi e delle infrastrutture, fino a rendere pienamente autosufficiente la città e a costruire una delle più efficienti e tecnologicamente avanzate aziende del settore a livello nazionale, strumento fondamentale per le politiche ambientali e sociali della città.
Nettezza poco urbana
Come funzionava il servizio nei primi anni del secolo scorso? La gestione era fatta “in economia” ovvero direttamente dal Comune con proprio personale. I cittadini ammassavano i rifiuti domestici negli “immondezzai” presenti negli edifici, periodicamente svuotati dagli spazzini. I carri trainati da cavalli portavano il tutto nelle cisterne situate a Villa Santa Caterina (Crocetta), in una località significativamente chiamata “Le Masse”. Cumuli di rifiuti venivano fatti, soprattutto presso i mercati, e venduti ai contadini per l’alimentazione animale e le concimaie. Il servizio veniva svolto essenzialmente nella città, mentre i residenti delle “ville” gestivano il tutto in proprio.
Nel 1924 arrivano i privati. La ditta veneziana Giacomo Pastorino e Giuseppe Serra si aggiudicava l’appalto del servizio; fino ad allora una attività di modesti profitti, modesti investimenti e scarsa innovazione, a Modena come del resto in altre città italiane. Nel 1931, tra le prime città a farlo, Modena introdusse una tassa locale per pagare il servizio. Dagli anni Trenta il servizio conobbe un certo svecchiamento nelle tecniche di raccolta (contenitori famigliari di legno o metallo) e nei macchinari, mentre lo smaltimento restava esclusivamente affidato alla discarica. I cumuli di rifiuti parzialmente putrefatti, con esalazioni non certo piacevoli, venivano destinati alla concimazione e, in linea con la politica di autarchia varata dal regime fascista, soprattutto a seguito delle sanzioni dichiarate dalla Società delle Nazioni, veniva effettuata la cernita dei rifiuti per recuperare materia da riciclare. Tecnica che a Modena verrà seguita fino agli anni Sessanta. Nel 1941 una legge nazionale impose ai comuni l’obbligo di provvedere alla “nettezza urbana”, sancendo il preminente interesse pubblico e istituendo la “privativa” pubblica sui rifiuti.
La gestione del “rusco” si modernizza
Nel primo dopoguerra (1947), il servizio è affidato alla SUM, in sostanza sempre Pastorino, sia per le difficoltà di organizzare una valida alternativa, sia per l’oggettiva qualità del servizio erogato, in generale ancora in buona parte secondo la prassi del passato. L’espansione urbana e demografica, il più generale straordinario cambiamento sociale, economico e urbanistico della città impongono un salto di qualità. Lo spazzamento della città, ancora manuale, rincorre l’espansione di una città sempre più grande e popolata. Lo sviluppo delle attività artigianali e industriali produce rifiuti mescolati ai domestici e in quantità crescente. I depositi cittadini crescono, si impone di tenerli sempre aperti e il loro svuotamento periodico risulta insufficiente. Lo smaltimento tramite interramento (discarica), il ricorso alla cernita per ridurre la massa da smaltire, i primi tentativi di incenerimento controllato costituivano nel loro insieme le principali tecniche sulle quali si confrontavano amministratori e operatori, tra grandi incertezze e scarsi strumenti gestionali.
Tra incertezze e difficoltà, muoveva i primi passi anche l’idea di incenerire i rifiuti, ipotesi che la legge del 1941 subordinava alla cernita. L’incenerimento della spazzatura aveva debuttato alla fine del secolo precedente. La Gran Bretagna era stata un’apripista nel settore, realizzando già intorno al 1870 alcuni impianti. Successivamente Stati Uniti, Germania e Francia avevano seguito la stessa strada. Sulla penisola, una posizione di primo piano la occupò Trieste. Esperimenti di questo tipo erano stati condotti anche a Milano. L’ostacolo maggiore era rappresentato, oltre che dai processi tecnologici, anche dal costo troppo alto degli impianti. A Modena la novità suscitò precocemente grande interesse. Una delegazione, guidata dal Vice Sindaco Rubes Triva, si recava nel 1949 in Svizzera, a Zurigo e a Lucerna, dove funzionavano impianti tecnologicamente molto avanzati, che producevano riscaldamento ed energia elettrica, riportandone una forte e positiva impressione.
1962: nasce l’AMNU
Il Comune rileva l’attività, i macchinari, gli impianti e assume il personale della SUM. E’ uno sforzo economico notevole. Tra il 1963 e il 1981, il numero degli utenti serviti passa da 43.150 a 103.488. Fanno il loro ingresso le prime spazzatrici meccaniche e poi i nuovi sistemi di raccolta con autocompattatori, che inghiottono i sacchi neri unifamiliari dei rifiuti indifferenziati. La neonata impresa municipale vestiva ben presto i panni del pioniere nel campo del rispetto ambientale. Anticipando di molti anni la formazione di una solida consapevolezza in questo ambito, l’Amnu avviava il trattamento dei rifiuti industriali separatamente da quelli domestici. A sancire la crescente affidabilità tecnica dell’Azienda, nel 1966 il Comune le affida, tra i primi in Italia, il controllo dei gas di scarico delle auto a seguito della prima legge “antismog”. Dagli anni Settanta all’AMIU viene inoltre affidata la gestione delle acque reflue urbane e la loro depurazione.
Dalla nettezza urbana all’igiene ambientale
Tra il 1974 e il 1982 i rifiuti solidi domestici raccolti passano da 368.176 a 604.752 quintali L’intervento si inserisce in una più ampia politica per i servizi ai cittadini e alle imprese nell’interesse della comunità. L’emergere della questione ambientale impone un cambio di programmazione del settore. Nel 1975 arriva la prima direttiva europea. I “cassonetti stradali” sostituiscono i sacchi neri, per migliorare la sicurezza degli operatori, l’igiene e ridurre i costi di raccolta e quindi la tassa (TARSU). Solo nel 1982 l’Italia recepisce gli indirizzi comunitari con una prima normativa organica sui rifiuti, in cui emerge la problematica ambientale e non più solo quella “igienica”. Regione Emilia-Romagna e Comune di Modena sono preparati alla nuova impostazione e saranno all’avanguardia nella definizione dei programmi, nella predisposizione degli interventi e degli investimenti necessari a realizzare gli impianti necessari: per i rifiuti urbani, per quelli industriali e avviando nel contempo le prime esperienze di raccolta differenziata e di separazione dei rifiuti urbani pericolosi (RUP). Nel 1981 si inaugurano le prime due linee dell’inceneritore, poi potenziato e rinnovato, con la produzione di energia elettrica. Viene inoltre realizzata la prima piattaforma per il trattamento dei rifiuti industriali pericolosi in concomitanza con la gestione dell’emergenza della “nave dei veleni” Karin B, che il Commissario ad acta Luciano Guerzoni, Presidente della Regione, porta brillantemente a termine anche grazie alla competenza dei tecnici e la solidità aziendale dell’AMIU, che si conferma riferimento tecnico nazionale.
Gli anni Novanta sono segnati da una forte accelerazione e innovazione normativa comunitaria che con successivi provvedimenti definisce e ordina una strategia organica in materia di rifiuti incentrata sulla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini. Finalmente nel 1997 il Governo italiano, recuperando i ritardi accumulati dai precedenti, vara una norma (DL 22/97) fondamentale.
La riduzione nella produzione dei rifiuti (prevenzione), il riuso degli oggetti prima che diventino rifiuti, la raccolta differenziata finalizzata al riciclo e al recupero di materia, sono le principali azioni da mettere in essere prima di smaltire i residui rimanenti recuperandone l’energia.