20/06/2015

LINGUAGGIO DI GENERE / 2 – GLI INTERVENTI DEI CONSIGLIERI

Ricordati l’impegno delle associazioni femminili e sottolineato come il linguaggio possa essere strumento efficace per sostenere effettivi percorsi di parità

Aprendo gli interventi, Caterina Liotti, per il Pd, ha ricordato il lungo impegno anche delle associazioni femminili modenesi sul tema del linguaggio di genere e quanto sia, ancora oggi, difficile “passare dalle parole ai fatti, quando si arriva alla pratica infatti ci sono ancora tanti e tanti pregiudizi. Oggi abbiamo fatto un passo importante – ha proseguito Liotti – e dobbiamo andare avanti per fare di Modena un laboratorio avanzato di riconoscimento di questi temi. Soprattutto dobbiamo smettere di pensare che le politiche di genere si possano fare senza risorse, le risorse ci vogliono, come per tutti gli altri settori”.

Marco Cugusi, per Sel, ha definito “meschina la polemica che contrappone queste iniziative a un riconoscimento reale delle donne, per esempio con ruoli nei consigli di amministrazione. Le donne devono andare nei luoghi di potere alla pari con tutti ma ciò non esclude la necessità di una profonda rivoluzione culturale nel linguaggio. Minimizzando la rivoluzione linguistica si rischia di accantonare anche il riconoscimento delle pari opportunità”.

Per Domenico Campana (Per me Modena), “l’italiano è una lingua impregnata di genere che però risente di una forte eredità patriarcale e di una preminenza maschile che si è imposta nella sua struttura profonda. Tuttavia la lingua è refrattaria ai comandi perché è fatta dai parlanti e l’uso alla fine vince. Ma la contraddizione con quanto abbiamo fatto a Modena è solo apparente perché man mano che cultura condivisa abbandonerà il terreno patriarcale e maschilista, troverà anche le parole per valorizzare con uguale dignità il genere”.

Elisabetta Scardozzi, per il Movimento 5 stelle, ha ricordato che “professioni che sono state per anni di esclusivo appannaggio maschile sono oggi rivestite indifferentemente da uomini e donne, è quindi doveroso che anche il linguaggio che usiamo normalmente esprima questa realtà. Il percorso sul linguaggio di genere deve però prendere in considerazione non solo la parola ma anche quello iconografico della pubblicità e riflettere sugli effetti che esercita creazione della propria identità. Le linee guida sono una base per cominciare ed è giusto che l’istituzione si comporti come modello su questi temi”.

Per Giuseppe Pellacani (Forza Italia) “la forma delle parole è sostanza. In dieci anni in Italia è stato fatto molto, passando da una visione di parità formale a percorsi che hanno deciso di realizzare efficacemente percorsi di parità. C’è ancora molta strada da fare: gli organismi sono inseriti in sistema di rete molto sfilacciati e manca un efficace punto di coordinamento e raccolta di informazioni, dati ed esperienze, senza però dar vita a iniziative che siano alibi per stipendifici”.

Antonio Montanini (CambiaModena) ha sostenuto che il “linguaggio di genere è un tassello di una questione ben più ampia: arrivare a mettere mano al linguaggio vuol dire che il percorso sta maturando. Mi auguro che la parità di genere arrivi in tutti i sensi e sono provocatorio: sarebbe bello se un domani l’assessore alle Pari opportunità fosse un uomo, vorrebbe dire che siamo arrivati all’effettiva emancipazione”.

Luigia Santoro di Ncd ha commentato che si “sarebbe potuto risparmiare qualcosa sui costi del progetto ricorrendo a competenze interne. Penso che l’iniziativa sia demagogica però ha il vantaggio di riconoscere il maschile e il femminile come sono in natura, invece di ricorrere, come si è già visto fare a genitore uno e due. Usare un linguaggio di genere però non ridefinisce i ruoli e men che meno crea parità, come dimostrano le recenti nomine in Carimonte”.

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