05/02/2015

LA BUROCRAZIA NON PARLERÀ PIÙ SOLO AL MASCHILE

Presentato in Consiglio comunale l’atto di indirizzo per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo. L’assessora Caporioni: “Una rivoluzione culturale”

Non più semplicemente “consiglieri” o “lavoratori” nei documenti del Consiglio comunale o nei moduli per permessi, malattie e qualunque altra situazione professionale, ma “consiglieri e consigliere”, “lavoratori/lavoratrici” e anche, seguendo lo stesso principio, avvocata, chirurga, notaia, assessora, difensora, evasora, amministratrice, ispettrice, declinando al femminile la qualifica professionale se chi la possiede è donna e abolendo la regola del cosiddetto plurale inclusivo che identifica in un maschile generico un gruppo composto da maschi e femmine. È solo una parte dell’evoluzione linguistica che caratterizzerà i documenti comunali modenesi e che è prevista nell’Atto di indirizzo per l’uso del genere nel linguaggio amministrativo presentata all’assemblea consiliare dall’assessora alle Pari opportunità Ingrid Caporioni nella seduta di giovedì 5 febbraio. Il documento impegna l’amministrazione a intraprendere un percorso di revisione del linguaggio, che metta in evidenza entrambi i generi, in tutta la modulistica del Comune, e la realizzazione di un corso di formazione per i funzionari sull’uso del linguaggio di genere. Entrambi gli interventi saranno affidati attraverso un bando che sarà aperto entro la fine di febbraio e si concluderanno entro l’inizio dell’estate.

“È una decisione con la quale diamo il via a una vera e propria rivoluzione culturale – ha sottolineato l’assessora comunale alle Pari opportunità Ingrid Caporioni illustrando la delibera – e un impegno politico importante per le politiche di genere e le pari opportunità che coinvolge tutti gli assessorati”. Il Comune di Modena è la prima amministrazione in Emilia Romagna e tra le prime in Italia ad adottare un provvedimento di questo tipo che, ha spiegato l’assessora Caporioni, si configura come “uno strumento di azione politica per la realizzazione di una parità di fatto tra uomini e donne perché il linguaggio riflette la società che lo utilizza e la sua cultura, influenza il modo di pensare, di giudicare e di classificare la realtà. Se diciamo abitualmente maestra e dottoressa, perché non possiamo dire ingegnera o prefetta? Le parole che usiamo sono importanti per affermare la presenza normale delle donne nel mondo del lavoro e per renderle visibili e l’istituzione ha il compito di fare da traino, modificando per prima il suo linguaggio. Senza dimenticare – ha concluso l’assessora – che superare un linguaggio stereotipato che non concepisce le donne in posizione di uguale potere rispetto agli uomini è uno degli strumenti fondamentali per combattere la violenza sulle donne”.

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