Gli abitanti delle Terramare cremavano i defunti sulla pira e in alcuni casi frammentavano gli oggetti del corredo e ne facevano offerte votive accompagnando il rito con libagioni, forse con vino. Le donne partorivano in media sei figli, dei quali solo due o tre riuscivano a raggiungere l’età adulta. Sono solo alcune delle scoperte emerse dagli scavi alla necropoli di Casinalbo e dalle ricerche successive, che hanno permesso di ricostruire aspetti dell’organizzazione sociale e soprattutto della ritualità funeraria delle Terramare, presentati nella mostra “Le urne dei forti” allestita dal 14 dicembre a Palazzo dei Musei a Modena (largo Sant’Agostino).
Un rituale funerario è composto da una serie di azioni in successione, molte delle quali (lamentazioni, canti, cortei) non lasciano evidenze archeologiche. Di altre azioni, invece, possono rimanere tracce indirette (ad esempio i resti di un banchetto funebre), o dirette (come la forma delle tombe, i segnacoli che le indicavano, i resti umani nelle sepolture, il corredo funerario, la presenza di offerte in cibo o floreali). Le metodologie di scavo e le analisi di laboratorio oggi consentono di recuperare informazioni fino a poco tempo fa impensabili.
Negli scavi di Casinalbo è stato possibile individuare alcune tracce e raccogliere una serie di informazioni sul rituale adottato dalla comunità, che consisteva nella cremazione dei defunti. Le evidenze archeologiche identificate possono essere ricondotte ai quattro principali livelli del rituale di passaggio correlato alla morte: le celebrazioni precedenti la cerimonia funebre; la cerimonia funebre vera e propria; il distacco dal defunto attraverso l’inumazione o la cremazione; i rituali successivi alla deposizione. Si ritiene che a Casinalbo il defunto venisse esposto su una piattaforma lignea per essere sottoposto ai rituali che precedevano la cremazione. Successivamente veniva adagiato sulla pira, frequentemente con gli oggetti che ne definivano lo status sociale: spade e/o pugnali per i maschi adulti, spilloni e pendagli per le donne o gli adolescenti. Dopo il rogo le ossa combuste venivano raccolte, lavate, selezionate e infine collocate nell’urna, successivamente deposta in un pozzetto scavato nel terreno, ricoperta di terra e spesso segnalata da un cippo costituito da un grande ciottolo. Gli oggetti personali del defunto, soprattutto quelli dei maschi adulti, non venivano immessi nell’urna o nel pozzetto ma erano successivamente ridotti in minuti frammenti, per decretare con un atto simbolico la loro perdita di funzione, e quindi offerti alla divinità in un’area speciale della necropoli, probabilmente con l’accompagnamento di libagioni, forse a base di vino.
Grazie al microscavo condotto sui riempimenti delle urne, è stato osservato che le ossa non erano deposte caoticamente, ma quelle del cranio erano selezionate e deposte per ultime nel cinerario, quasi a voler ricostituire almeno parzialmente la forma anatomica del defunto.
Dalle minuziose analisi antropologiche si sono ricavati dati sulla composizione della società e sulle aspettative di vita. Molti morivano ancora neonati e non venivano deposti nella necropoli, un individuo su tre moriva durante l’infanzia o l’adolescenza, fra gli adulti pochissimi erano sessantenni. Tramite formule complesse mutuate dagli studi di demografia, è stato possibile ricostruire il modello di famiglia nucleare di questa comunità: mediamente una donna poteva avere circa 6 figli. Due dovevano decedere entro i 2-3 anni, uno o due entro i 20, e due o tre riuscivano a raggiungere l’età adulta.
I gruppi di sepolture erano posti all’interno di isolati delimitati da strade larghe circa due metri. che si incrociavano ortogonalmente e che isolavano nuclei di sepolture, in gran parte riferibili a gruppi parentelari, che dimostrano di essersi ampliati nel corso dei secoli. All’interno dei raggruppamenti le sepolture maschili e quelle femminili occupavano tendenzialmente posizioni diverse. Questa organizzazione interna della necropoli appare straordinariamente analoga a quella degli abitati terramaricoli, le cui abitazioni sono inserite all’interno di analoghi isolati, risultanti dall’incrocio di assi viari ortogonali. Probabilmente villaggi e necropoli erano organizzati secondo lo stesso modello. Gli isolati forse rispecchiavano l’esistenza di unità residenziali di più abitazioni pertinenti a nuclei parentelari estesi.
Sebbene la particolarità del rituale funerario abbia in gran parte mascherato le differenziazioni sociali, l’uniformità della necropoli è solo apparente. Molti indizi (ad esempio la disposizione dei frammenti derivanti dalla frammentazione rituale dei beni posti sulle pira, la presenza di tracce relativa a oggetti in bronzo sui resti ossei combusti, la presenza di offerte in cibo sul rogo funebre) ci fanno comprendere che nelle comunità terramaricole sussistessero differenziazioni in base al rango. All’apice della società si collocava un ceto guerriero a cui si affiancavano alcune donne di rango elevato.
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