Gli abiti, le tradizioni, le abitazioni, la caccia, l’uso del fuoco, ma anche le tecniche approntate dalle mamme per trasportare i bambini, i giochi e le forme di comunicazione. Si tratta di un vero e proprio “catalogo degli umani” realizzato attraverso oltre 800 figurine e diversi album la mostra “People”, aperta al Museo della Figurina di corso Canalgrande 103 e al Museo Civico Archeologico Etnologico di viale Vittorio Veneto dal 18 settembre (inaugurazione alle 18.30) al 28 febbraio.
Curata da Maria Giovanna Battistini e Ilaria Pulini, organizzata e prodotta dal Museo della Figurina e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena in collaborazione con il Museo civico archeologico etnologico, la mostra rientra tra le iniziative del Festival filosofia, in programma a Modena, Carpi e Sassuolo dal 18 al 20 settembre e dedicato quest’anno al tema della comunità.
Al Museo della Figurina la vetrina di dodici metri per le mostre temporanee ospita le sezioni “Le Terre”, “Attraverso i luoghi”, “Americhe, Africa e Medio Oriente”, “Asia e Oceania”, “Il catalogo degli umani”, “Quotidianamente” e “Tra materiale e immateriale”. Una sezione è interamente dedicata ad un raffronto tra oggetti provenienti dalle raccolte civiche e la loro rappresentazione in figurina. Al Museo civico le figurine relative ai grandi esploratori, alle colonie, alle materie prime e all'artigianato, dialogano con i materiali dell'allestimento permanente, in un continuo gioco di rimandi.
L'attuale grado di sviluppo dei mezzi di comunicazione ha prodotto nuove tipologie di comunità non più basate sulla vicinanza fisica, ma sul desiderio di condividere interessi e passioni che vanno oltre i confini geografici. Ben altra situazione si presentava nell'Ottocento quando, in seguito alla colonizzazione, l'Occidente “civilizzato” e dominato dall'idea del progresso entrava in contatto in maniera dirompente con il tema dell'”altro” e dell'”altrove”, sia in senso culturale che in senso geografico. È l'epoca che vede lo sviluppo della disciplina antropologica a partire dalla storia naturale e la nascita dei primi grandi musei di antropologia e di etnografia. Le figurine, che proprio negli stessi anni vedono un enorme sviluppo come mezzo pubblicitario e didattico, risentono di questo clima, al punto che i popoli del mondo divengono oggetto di un'infinita quantità di raffigurazioni.
L'ardore positivistico permea la scelta dei temi da trattare, spesso affrontati in maniera comparativa come voleva l'antropologia dell'epoca influenzata dall'evoluzionismo: venivano confrontati gli usi, i costumi, le tradizioni, i caratteri somatici dei popoli, alla maniera delle prime foto segnaletiche.
L'occhio dell'osservatore, del classificatore occidentale, resta quasi sempre fuori campo, quasi ad evidenziarne una presunta quanto asettica neutralità. In realtà, il significato che emerge dalla lettura delle immagini è molto meno neutro di quanto le didascalie che le accompagnano vogliano far apparire: pur mostrando tutto il fascino per ciò che è esotico e la meraviglia per la diversità, in esse traspare l'etnocentrismo di un’epoca in cui i popoli cosiddetti “primitivi” vengono collocati in cammino verso una meta che non può essere nient'altro che il progresso occidentale ed europeo. Lo stesso colonialismo viene visto come una pratica civile e gentile e nessun accenno viene fatto agli aspetti conflittuali e frequentemente brutali che lo hanno contraddistinto.
La mostra è accompagnata da un catalogo dell'editore Franco Cosimo Panini.
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