11/03/2008

SCHEDA/IL PARTIGIANO CHE AMAVA IL MODERNO

Profilo dell'architetto Vinicio Vecchi. Studiò al Venturi, a Roma e Milano
Vinicio Vecchi nasce a Modena il 28 giugno 1923, da una famiglia di artigiani decoratori e scultori, impegnati soprattutto nella realizzazione di opere in cemento (il padre e lo zio sono i decoratori della maggior parte dei palazzi e delle ville liberty della città). Mentre frequenta il Regio Istituto d’Arte Adolfo Venturi, partecipa a molti dei concorsi artistici e vince con un saggio di scultura i Littorali provinciali del 1939, mentre l’anno successivo si aggiudica il secondo posto al premio Luigi Poletti a Roma.
Proprio nella capitale, dove vive con il fratello scultore Veldo, si iscrive nel 1942, superata la maturità artistica in forma privata, alla Facoltà di Architettura. Quando i corsi universitari vengono sospesi a causa della guerra, Vecchi torna a Modena e, assieme ad altri componenti della sua famiglia, diventa partigiano. Nel dopoguerra è il più giovane consigliere comunale modenese (Pci) e conserva l’incarico fino al 1962. Intanto si laurea in architettura a Milano nel 1952, anche se già dal 1946 è attivo a Modena sia in proprio che a fianco di Mario Pucci - membro della Costituente e poi senatore del Pci – rientrato da Milano a Modena nel 1946 per assumere l’incarico di assessore ai Lavori Pubblici negli anni della ricostruzione postbellica.
Sin dalle prime opere, il disegno di Vecchi è evidentemente autonomo, rispetto a quello di Pucci. I lavori che Vecchi firma da solo sono generalmente caratterizzati da un fare moderno, mentre le opere firmate con Pucci si riconoscono per una matrice evidentemente razionalista, sebbene l’interesse per il moderno suggerisca anche in Mario Pucci, in particolare in alcune opere, sviluppi originali.
Nella prima metà degli anni Cinquanta Vecchi partecipa alla ricostruzione post-bellica, progettando e realizzando edifici per uffici e grandi negozi, ma anche edilizia più modesta, residenziale e commerciale. Per la nascente industria meccanica locale, rappresentata dalle piccole officine artigiane “avviate” da ex operai, cui l’Amministrazione comunale aveva destinato una serie di terreni per la costruzione di capannoni con annesse abitazioni, Vinicio Vecchi “inventa” edifici inediti, rispetto all’architettura realizzata fino ad allora. Contemporaneamente, seguendo lo sviluppo economico e sociale della città, per quegli ex artigiani, divenuti industriali, costruirà le grandi fabbriche, di grande impatto architettonico, dislocate nei pressi di nuovi svincoli autostradali, le grandi ville nei quartiere borghesi storici e nelle aree periferiche trasformate alla fine degli anni Sessanta in aree urbanizzabili, le tombe di famiglia. Ed è ancora lui l’architetto dei grandi palazzi “signorili”, dei palazzi per “abitazioni, uffici e negozi” che caratterizzano l’espansione della città negli anni Cinquanta e Sessanta, e delle residenze, non magniloquenti, ma sempre riconoscibili per il loro corrispondere a un’idea nuova di abitare.

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