02/10/2008

SCHEDA 6 / OCCUPAZIONE AL 68,8% MA CI SONO DISUGUAGLIANZE

È difficile uscire dal precariato soprattutto per i lavoratori immigrati
Un mercato del lavoro solido con un tasso di occupazione del 68,8% e una disoccupazione del 3,2%, poco più di metà della media nazionale. I valori della città di Modena rimangono vicini a quelli delle regioni europee più avanzate e all’obiettivo del 70% di occupazione fissato dall’Unione Europea per il 2010.
I lavoratori con contratti precari sono pari al 14% degli occupati in città e guadagnano meno degli occupati stabili, tanto che un terzo di loro è in condizione di povertà. Per i lavoratori più giovani e con titoli di studio più elevati il precariato è una tappa di un percorso che porta alla stabilizzazione. Rischiano invece di restare ingabbiati in questa condizione i lavoratori dei servizi operativi come call center, facchinaggio o pulizie, quasi sempre stranieri. Un’altra disuguaglianza riguarda le donne, che anche a parità di qualifica guadagnano meno degli uomini, in media circa 7 mila euro in meno ogni anno.
Più della metà degli occupati nel comune di Modena lavora nel settore terziario (52%), il 46% nell’industria (incluso il settore delle costruzioni) e solo il 2% nell’agricoltura. Se dagli occupati nei servizi si escludono i dipendenti della pubblica amministrazione (26%) emerge con più forza il peso rilevante dell’industria, a conferma del fatto che l’economia modenese è tradizionalmente e fortemente incentrata sulla manifattura. Il rimanente 26% occupato nel terziario lavora nel campo dei servizi avanzati alle imprese, in particolare manifatturiere.
A Modena la quota di lavoratori con forme contrattuali precarie è più alta che negli altri comuni della provincia, dove si ferma all’11%. Quasi due terzi dei lavoratori precari hanno meno di 35 anni e pur essendo più istruiti (il 31% dei precari è laureato contro il 17% dei non precari), guadagnano circa il 40% in meno degli occupati stabili. Appartengono più frequentemente a famiglie disagiate e un terzo di loro è in condizione di povertà.
Le donne modenesi hanno un reddito annuale da lavoro inferiore di oltre 7.000 euro a quello degli uomini e una probabilità più che doppia di ricadere nella povertà. Il divario salariale si spiega col minor numero di ore lavorate, data la maggiore diffusione del part time. Ma la remunerazione oraria delle donne è più bassa anche a parità di qualifica professionale. Gli immigrati da aree nazionali ed estere a basso reddito hanno un reddito da lavoro più basso e sono più a rischio di povertà. Il profondo divario che separa i redditi dei lavoratori immigrati da quelli dei modenesi di più lunga data crea due mercati del lavoro difficilmente comunicanti. Nel comune di Modena è più diffusa la presenza di lavoratori immigrati e precari, ma anche di donne occupate per la maggior diffusione dell’occupazione part time, una maggior concentrazione dell’occupazione nei settori delle professioni e dei servizi e livelli di istruzione notevolmente più elevati.
A Modena si guadagna in media di più rispetto al resto della provincia, ma le differenze salariali sono più accentuate: i dirigenti guadagnano molto più degli operai, i lavoratori anziani molto più dei giovani. Ci sono più posizioni lavorative con livelli elevati di autonomia, mentre nei lavori dotati di minore autonomia colpisce l’elevatissima concentrazione di immigrati.
Emerge una decisa spaccatura tra i lavoratori anche rispetto al grado di soddisfazione per il proprio lavoro: un terzo è poco o per nulla soddisfatto di ciò che fa, mentre il 40% del totale lo è molto. I residenti nel capoluogo sono mediamente più soddisfatti del proprio lavoro rispetto a chi vive in provincia. Le variabili che influenzano maggiormente il grado di soddisfazione sono quelle più fortemente correlate anche con un alto reddito: il titolo di studio, l’origine del capofamiglia, lo svolgimento di un lavoro non manuale e con forti gradi di autonomia decisionale. I modenesi chiedono al proprio lavoro soprattutto qualità e reddito, non un impegno limitato di tempo.
I tassi di occupazione sono elevatissimi sia per gli uomini sia per le donne, ma il reddito totale (annuo o mensile) aumenta in buona misura solo grazie ad un maggiore sforzo in termini di ore lavorate e aumentano i lavoratori a basso reddito, a conferma dell’incremento delle disuguaglianze tra i lavoratori, seppur all'interno di una situazione di eccellenza rispetto al resto del Paese, in termini di ricchezza e sua distribuzione.

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