Insediamenti e culti nell'Appennino modenese tra il II e il I millennio prima di Cristo in un'esposizione che apre il 13 aprile al Museo civico archeologico
Tra il II e il I millennio prima di Cristo, l'Appennino modenese non era un'area marginale occupata da pochi e indigeni abitanti, ma un territorio di 'uomini e dèi delle montagne' che hanno lasciato importanti testimonianze di insediamenti e culti. Lo raccontano il secondo volume dell''Atlante dei beni archeologici' - che a cura di Andrea Cardarelli e Luigi Malnati (l'ideazione è della Provincia) raccoglie 370 attestazioni archeologiche riguardanti 18 Comuni dell'alta collina e della montagna modenese ' e la mostra 'Uomini e dèi delle montagne', aperta dal 13 aprile al 18 giugno al Museo civico archeologico etnologico di Modena (la mostra è realizzata con la Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia-Romagna e la collaborazione del Dipartimento di Scienze della terra dell'Università di Modena e Reggio Emilia). I visitatori potranno così scoprire i resti delle 'palafitte perdute' che agli albori dell'età del bronzo, attorno al 2000 a.C., probabilmente occupavano i laghi attorno a Pavullo, gli abitati costruiti sulle rupi isolate, come Pescale o Pompeano, e quelli edificati, pochi secoli più tardi, sulle sommità montane. Da qui si poteva controllare il territorio presidiando le risorse economiche che, come nel caso della valle del Dragone interessata dalla presenza di giacimenti di rame, dovevano essere strategiche per la sopravvivenza delle comunità. Le testimonianze archeologiche sono particolarmente numerose e confermate soprattutto da abbondanti resti di vasellame. Nell'età del ferro, mentre nella pianura si affermava la dominazione degli Etruschi, il territorio montano doveva essere in gran parte occupato da popolazioni liguri appartenenti alla tribù dei Friniati che tanto filo da torcere hanno dato ai Romani, fino addirittura ad arrivare al saccheggio e all'occupazione temporanea della colonia di Mutina nel 177 a.C. I Liguri intrattenevano rapporti di scambio con i vicini Etruschi, come evidenzia, tra l'altro, un ricco corredo bronzeo databile al V secolo a.C., proveniente da una sepoltura trovata nelle vicinanze di Pavullo. Numerose testimonianze indicano la presenza di luoghi nei quali venivano dedicate offerte votive alle divinità. Due spade in bronzo, simbolo del potere dei guerrieri e dei capi, sono state trovate in luoghi dedicati al culto. La prima, spezzata intenzionalmente per annullarne la funzione originaria, proviene dalla vetta del Cimone, un luogo chiaramente simbolico dove l'offerta era certo ritenuta più vicina alla sede celeste della divinità. La seconda, splendidamente integra, è stata recuperata sulla cima dell'Alpe di Santa Giulia, dove scavi recenti hanno potuto accertare anche l'esistenza di una fossa votiva e di un rogo rituale. Durante l'età del ferro, santuari montani, sacelli e aree votive erano realizzati in corrispondenza di sorgenti o piccoli laghetti. Bronzetti di devoti o figurine di animali che rappresentano offerte alla divinità sono, per esempio, attestati a Montese in un'area dove in passato esistevano una sorgente di acqua curativa e un piccolo lago oggi scomparso. Altre statuette in bronzo di devoti provengono da Rocca Malatina e dai monti vicino a Fanano. Ma la testimonianza di culto più particolare è quella riscontrata a Ponte d'Ercole e a Monte Apollo, due località dell'Appennino modenese fra Lama Mocogno, Pavullo e Polinago. In quest'area, caratterizzata da un singolare ponte naturale in arenaria e da sorgenti, provengono resti archeologici a partire dall'età del bronzo e del ferro forse già relativi ad attività di tipo religioso. Ma è soprattutto in età preromana e poi romana che questo sito deve aver raggiunto una straordinaria importanza per il culto. Decine e decine di monete in argento e bronzo, databili a partire dal III secolo a.C., sono state trovate in quest'area assieme a molti altri reperti archeologici. Si tratta probabilmente di oboli che i pellegrini donavano alla divinità e ai sacerdoti officianti.
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